di Maria Teresa Granati
George Steiner, nel suo ultimo saggio tradotto in italiano, (1) inizia la sua analisi delle possibilità e dei limiti del pensiero umano, soprattutto delle cause della sua “tristezza”, partendo da un noto passo di Schelling (2).
Mi è sembrato singolare questo accostarsi di un critico di acuminata intelligenza come G. Steiner, attento analista e interprete di un’epoca priva di certezze, che ha elaborato da tempo la fine di ogni metafisica e annunciato con Nietzsche e Heidegger la morte di Dio, ad un filosofo dell’idealismo tedesco che indaga sull’Assoluto, per costruire un sistema filosofico organico, capace di spiegare il destino dell’uomo e decifrare l’Essere.
Vero è che Steiner, nella sua vasta e instancabile opera di critico e studioso del linguaggio, dei miti, della filosofia e della cultura dell’Occidente, è coerente nella sua presa di distanza dal “mondo della chiacchiera” sulla “morte di Dio” e nella sua professione di fede nella parola, nel “patto tra parola e mondo”, nel logos, nell’idea antica che le regole della mente umana possano essere le stesse della mente ordinatrice del cosmo; dunque fede nella filosofia, nella scienza e nella politica, in generale fede nell’universale come fondamento della scienza e dell’etica: idee e miti che non si stanca di rileggere e reinterpretare ritenendoli “fondamentali all’esistenza”.